“Il cavaliere esperto sembra immobile. Ma dice tutto.”
Hai mai parlato senza dire una parola? Chi monta a cavallo lo fa ogni volta. Ma pochi se ne rendono conto. Ogni volta che le tue gambe stringono, che il tuo peso cambia, che la tua mano si apre o si chiude, stai parlando. A modo tuo. Con il tuo accento, con il tuo ritmo, con il tuo carattere.
È così che comunichiamo con il cavallo: non con le redini, non con la voce, ma con il corpo. Ed è un linguaggio più esigente di qualsiasi lingua parlata, perché non ammette ambiguità. Il cavallo sente tutto, anche quello che non vorresti dire.
Non si tratta di “dirigere” il cavallo. Chi monta, sa che le cose non stanno così. Tra cavallo e cavaliere, il dialogo non passa per la voce, ma per una lingua fatta di pressioni, equilibri, tempismo. Si chiama linguaggio degli aiuti — e in equitazione, è tutto.
Gli aiuti in equitazione sono il nostro alfabeto fisico. Sono, in altre parole, gli strumenti attraverso cui il cavaliere comunica la propria volontà al cavallo. Aiuti non nel senso di “suggerimenti”, ma di segnali tecnici e fisici.
Si dividono in due categorie:
La combinazione coerente e precisa di questi elementi permette di orientare il cavallo, richiedere un’azione, rafforzare un comportamento.
Il cavallo risponde a ciò che sente, non a ciò che pensiamo di aver detto. Il cavallo non interpreta. Non razionalizza. Non “dà il beneficio del dubbio”. Se chiedi una cosa con le gambe e un’altra con le mani, lui si confonde. E quando si confonde, si difende.
Infatti, uno degli errori più frequenti — e più umani — è pensare di aver dato un’indicazione, mentre in realtà il cavallo ha ricevuto un segnale del tutto diverso. Questo accade quando gli aiuti sono imprecisi, contraddittori o inconsapevoli.
Un cavaliere ben formato è quello che “parla poco ma bene”: il cavallo riconosce i segnali chiari e coerenti e può così affidarsi, rilassarsi e rispondere.
Ogni piccolo movimento ha un significato. Per questo il lavoro sul proprio assetto è centrale: un cavaliere sbilanciato parla una lingua confusa.
Frustini e speroni non devono mai sostituire la sensibilità, ma solo amplificare un messaggio già chiaro. Se usati male, rompono il dialogo. Se usati bene, diventano punteggiatura: un modo per sottolineare, non per gridare.
C’è un momento — lo riconosci subito — in cui tutto si allinea. Il cavallo avanza senza che tu lo spinga. Cambia direzione con un tuo pensiero. Si raccoglie sotto di te come se volesse danzare.
In quel momento gli aiuti non si vedono più. Ma ci sono. Sono diventati parte di te. E tu, per un istante, non stai più “guidando” un cavallo: stai conversando con lui.
Nel suo trattato, Beudant descrive il ruolo degli aiuti come l’unico vero linguaggio del cavaliere. Scrive:
“La volontà del cavaliere si trasmette al cavallo con il linguaggio degli aiuti.”
E, parafrasandolo, aggiunge con la lucidità di chi ha capito tutto:
“Il cavallo risponde a ciò che sente, non a ciò che il cavaliere pensa di aver chiesto.”
Un principio che vale in alta scuola come in passeggiata. La voce silenziosa del cavaliere si affina solo con la pazienza, la tecnica e la capacità di ascoltare.
Imparare il linguaggio degli aiuti non è solo questione di tecnica. È un atto di rispetto. È dire al cavallo: “Ti vedo. Ti ascolto. Voglio che tu capisca.”
È anche un atto di onestà verso sé stessi. Perché montare bene — davvero bene — significa essere presenti. Centrare corpo, volontà e attenzione in un solo gesto. Pulito. Senza sottotitoli.
Perché un cavallo che capisce il suo cavaliere lavora meglio, si stanca meno, è più sereno. E un cavaliere che sa farsi capire, senza forzature né confusione, è più leggero, più giusto, più cavaliere.
In un’epoca in cui si parla tanto di benessere animale, gli aiuti equitazione non sono un dettaglio tecnico, ma una questione etica.
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Il testo è ordinabile (fornendo il codice ISBN: 9788890950421) presso tutte le librerie in territorio nazionale.
Nota editoriale: L’articolo è stato ispirato da: Étienne Beudant, “Esterno e Alta Scuola”, Zoraide editore, pp. 85-95
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