ricerca sul benessere dei cavalli

Polemiche per una nuova ricerca sul benessere dei cavalli

Una nuova ricerca sul benessere dei cavalli accende la discussione su Facebook. Sul social tante le polemiche e le indignazioni.

I cavalli allo stato brado avrebbero livelli di stress più elevati rispetto a quelli scuderizzati e sotto la gestione dell’uomo. La minaccia di predatori, la ricerca di cibo e acqua, le dinamiche sociali potrebbero essere tutti fattori che provocherebbero un maggiore livello di stress. È il risultato di uno studio condotto dal Reparto Benessere Animale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo e pubblicato sulla rivista scientifica Animals.

La notizia di questo nuova ricerca sul benessere dei cavalli (ricerca IZSAM) è stata postata sulla pagina Facebook del dott. Andrea Brignolo. Il veterinario ha spiegato che i ricercatori hanno preso in esame complessivamente 47 cavalli, divisi in tre gruppi. Sedici appartenenti alla Polizia di Stato di Ladispoli, dove svolgevano attività addestrativa e lavoro in campo; altri sedici impegnati in servizi di ordine pubblico, sempre in forze alla Polizia di Stato di Roma; quindici cavalli, infine, mantenuti allo stato brado sulle montagne dell’Abruzzo, e reperiti tramite la collaborazione di un allevatore locale.

Tutti i soggetti inclusi nello studio erano stati preventivamente selezionati in base all’assenza di patologie di carattere acuto e cronico e seguendo i principali parametri di valutazione del protocollo “AWIN” di valutazione del benessere. I cavalli selezionati sono stati quindi sottoposti ad analisi dei livelli di cortisolo presente nel crine.

“Il cortisolo – spiega il dottor Francesco Cerasoli, primo autore dello studio – è considerato in letteratura un valido indicatore di stress. Quello presente nel crine può quindi rappresentare un ‘archivio’ dell‘animale, raccontandoci il suo status cronico di benessere”.

Le analisi, eseguite con una procedura standardizzata e un’analisi laboratoristica utilizzata per la prima volta a tale scopo, hanno portato a risultati apparentemente inattesi. “Abbiamo visto – continua Cerasoli – che il livello di cortisolo era più elevato nel gruppo di cavalli che vivevano allo stato brado rispetto ai due gruppi ricoverati in stalla ed impiegati in attività di lavoro intense. Questa evidenza andrebbe a confutare alcune comuni credenze secondo le quali l’animale in natura, quindi libero di esprimere il suo naturale comportamento, sperimenterebbe livelli di benessere superiori rispetto all’animale in lavoro e gestito dall’uomo, ovviamente da intendersi secondo un corretto management”. In altri termini, i fattori di stress indotti da una adeguata gestione da parte dell’uomo potrebbero comunque essere di minor impatto rispetto a quelli presenti allo stato brado.

“Il nostro studio – spiega ancora il ricercatore – mostra che gli animali della Polizia di Stato presi in esame, benché sottoposti a lavoro e/o servizio di ordine pubblico, attività presumibilmente ricca di fattori stressanti, sperimentano livelli di cortisolo inferiori. La conclusione naturale è che una corretta gestione da parte dell’uomo sembrerebbe più rispettosa del benessere rispetto ad una condizione assolutamente naturalistica”.

Non si sono lasciate attendere le reazioni sui social. Sono stati centinaia i commenti da parte di proprietari, ma anche professionisti ed esperti del settore che, indignati, hanno interpretato lo studio come se fosse volto a “giustificare l’egoismo e i business”. Altri ha chiesto ai ricercatori maggiori spiegazioni sul perché “i comportamenti stereotipati esistono solo nei cavalli scuderizzati. Gastriti e ulcere comprese”.

A riguardo sono intervenuti anche nomi noti del mondo equestre.

Rachele Malavasi, esperta in etologia equina, divulgatrice scientifica e tecnico ASI Nazionale, interviene spiegando che «questa ricerca parte dall’assunto che un livello di cortisolo alto sia indice di uno stress disfunzionale, cioè di un distress. Agire determina un aumento del cortisolo perché richiede impegno fisico e/o cognitivo. Quando un individuo vive in una rete di relazioni, è impegnato nel dialogo, nel trovare soluzioni: nel vivere.

In natura, gli stalloni responsabili della banda (i referenti) hanno un livello di cortisolo più alto: non stanno male, stanno agendo con responsabilità e devono rimanere sempre presenti, attenti. Questo crea stress, ma è un eustress (fino ad un certo limite, per cui dopo circa 3-5 anni i referenti scendono in grado, per riposarsi).

Qualcuno davvero direbbe che un cavallo scuderizzato, o anche in gestione naturale, sta meglio che uno stallone referente di una banda in natura? Chi lo direbbe non avrebbe un concetto realistico di benessere.

Benessere non è stasi, ma è il continuo cercare un equilibrio attraverso le proprie capacità: chi vive nella “bambagia” non sta veramente bene, perché perde la spinta motivazionale ad agire, non deve esercitare le proprie competenze e manca quindi della soddisfazione esistenziale. Cavallo incluso: ovviamente non comprende che sta “sprecando la vita”, ma la Natura gli impone con una spinta innata a sviluppare competenze che gli servono per la sopravvivenza e se non può farlo il corpo va in allerta. Questo è scritto nel DNA e non è la condizione di vita del singolo a poter cambiare tale innato: in pratica, un cavallo avrà sempre bisogno di sentirsi efficace, di saper fare, anche se vive in box, perché è nella natura di ogni animale (uomo compreso).

Allora perché non c’è più cortisolo nei crini dei cavalli in box? Perché l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che regola la produzione di cortisolo, può esaurirsi per lo stress eccessivo. Oppure, più probabile in questo contesto, perché manca la spinta al fare, la mente si spegne e il corpo di conseguenza.

In finale, il cortisolo potrebbe essere usato come misuratore del livello di attività, non del distress. Può potenzialmente misurare il distress, ma purtroppo la maggior parte dei ricercatori non differenzia fra eustress e distress, facendo di tutta l’erba un fascio.

A dimostrazione di questo, lo studio di Sauveroche et al. (2020) che compara sempre il cortisolo dei crini fra diverse gestioni rivela invece che non c’erano differenze significative fra le gestioni, ma piuttosto che i cavalli in branco erano quelli che mostravano più comportamenti affiliativi e di riposo.

Quello che manca per esempio nello studio di Cerasoli et al. è un’analisi del comportamento dei cavalli affiancata alla misura del cortisolo. Nello studio di Sauveroche emerge una differente concentrazione di cortisolo fra i diversi maneggi: quindi emerge che questo tipo di misurazione può valutare delle differenze di elementi stressogeni, ma poi bisogna capire come analizzare il risultato. Il cortisolo aumenta quando cambiano le condizioni di vita, quando accade qualcosa di rilevante, quando bisogna far fronte alle difficoltà: il problema non è il cortisolo, ma come si affrontano quelle difficoltà. La misura del cortisolo serve solo a far notare che è successo qualcosa di rilevante.»

Sonny Richichi, presidente IHP Italian Horse Protection Onlus, sottolinea il fatto che «ricerche come queste non solo non apportano nulla al miglioramento del benessere dei cavalli, ma rischiano di fare danni perché sembrano tese a giustificare, in qualche modo, la scuderizzazione dei cavalli, ovvero il contrario esatto della loro natura che viene sdoganato addirittura come “benessere” (a patto che il caro proprietario provveda ad acqua, cibo e cure)».

Il dr. Brignolo, in un altro post, chiarisce che «l’articolo illustra dei dati oggettivi scaturiti da uno studio scientifico e non trae nessuna conclusione definitiva su quali siano le migliori condizioni di vita per un cavallo ma cerca di valutare l’utilità e L’attendibilità del dosaggio del cortisolo nel crine come uno degli elementi di valutazione del benessere animale da inserire evidentemente in una serie di valutazioni molto più complesse.

Il contributo interessante (che ovviamente potrà anche essere confutato da altri studi) e che i risultati possono aiutare la comprensione dei fattori che concorrono al benessere equino e questa tecnica di indagine POTREBBE diventare un parametro di valutazione utile e pratico per una verifica del benessere di tutti i cavalli per una loro miglior gestione.

Le conclusioni in base ai dati raccolti sono personali del ricercatore, tutte al condizionale, e meritano di essere condivise e valutate come tutte le posizioni argomentate e frutto di studio».

Leggi qui la discussione completa.

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